Una Storia Sbagliata: di favole, del digitale e di altre storie.

di | 9 Agosto 2017

“È una storia da dimenticare, è una storia da non raccontare

È una storia un po’ complicata, è una storia sbagliata” – Fabrizio De André – Una Storia Sbagliata

 

Non c’è giorno che Dio manda in terra in cui sulle varie riviste del settore o per bocca degli audaci rappresentanti non venga annunciata cum magno gaudio la meravigliosa rivoluzione digitale, neanche fossimo ai tempi della corsa all’oro nel Klondike.

Il battage delle aziende è inesorabile e massacrante: sostanzialmente il digitale consentirebbe di acciuffare la ripresa economica, permetterebbe di svecchiare lo studio odontoiatrico e il laboratorio odontotecnico, proiettandoli attraverso fantomatiche piroette di marketing in un futuro radioso e già alle porte.

Odontoiatra e ancor di più odontotecnico sono certamente figure professionali non abituate al marketing e alla comunicazione, soprattutto quando sorretti dall’etica deontologica e perché piuttosto votate al mestiere, che già richiede di gran lunga tempo, impegno, risorse e passione.

Quindi si tratta per lo più di individui per loro natura facili prede delle aziende sicuramente smaliziate e anche tendenzialmente spregiudicate nell’indorare i loro prodotti non come utili, bensì come assolutamente indispensabili alla buona pratica.

Aziende abili altresì a incunearsi nelle debolezze dell’animo del professionista, da sempre in debito di aggiornamento culturale di fronte alla spaventosa mole di prodotti e di bibliografia disponibile. Eccezion fatta ovviamente dei diversi tuttologi e dei fortunati unti della Verità dal Signore (che nella categoria, ahimè, abbondano come funghi).

Ma veniamo al dunque: si è da poco placata la marea radiologica che ha portato urbi et orbi la tecnologia digitale cone-beam, peraltro utilissima nei casi indicati, ovviamente con la consueta leggerezza   o furbizia nostrana di aggirare la normativa che regola l’attività di radiodiagnostica, scatenando la solita faida all’italiana.

Da un lato la claque dei radiologi, che parlano di “esercizio abusivo di professione”, dall’altro i sindacati odontoiatrici che invocano la legittimità all’uso “complementare per fini diagnostici degli apparecchi radiografici”. Giustissimo, ma la normativa prosegue citando “purchè contestuale, integrato e indilazionabile”.

E qui si apre un’enorme zona grigia in cui entrano anche considerazioni medico-legali non trascurabili, dal momento che si tratta di un esame invasivo, le cui indicazioni non sempre appaiono cristalline nel mare magnum della chirurgia orale, soprattutto per quanto concerne l’indifferibilità dell’indagine strumentale.

Non rimane che appellarsi alla migliore risorsa degli uomini: il buon senso, questo sconosciuto.

Piazzati i cone-beam, le aziende ora martellano con altri prodotti che dovrebbero rendere lo studio più moderno, digitale: scanner intra-orali, scanner extra-orali, fresatori.

Posto che, per quando riguarda il laboratorio, se gli scanner figurano la porta di accesso a una tecnologia interessante, pulita e pure versatile (fase CAD), ad oggi i fresatori (fase CAM) rappresentano un investimento insostenibile per la maggior parte degli odontotecnici che a stento ancora sopravvivono alla crisi economica, organizzati come dieci piccoli indiani in realtà variegate, non omologabili e spesso conflittuali.

Inoltre i fresatori, accanto agli indiscutibili vantaggi, tuttavia vincolano le lavorazioni a limitati materiali, non coprendo attualmente l’ampia varietà di soluzioni tecniche disponibili e di cui la clinica potrebbe ancora avere necessità.

Rimangono pertanto, come nel gioco del cerino, soltanto gli scanner intra-orali: ma sono davvero indispensabili?

O rappresentano piuttosto l’unica fetta residua di mercato dal quale le aziende del settore sperano ancora di ricavare buoni profitti, vista la stagnazione assoluta dell’evoluzione dei prodotti e stante la drammatica crisi economica (e di valori) che ha travolto anche la nostra professione.

Già perché l’odontoiatria nell’ultimo ventennio ha raggiunto (per chi la pratica a regola d’arte) un’efficienza straordinaria in pressoché tutti i settori.

La semplificazione Dio mio!

Che osceno strumento di marketing! Che volgare banalizzazione!

Tutti i cattivi maestri a decantare la semplificazione, l’ottimizzazione, la ripetibilità, magari con le diapositive multi-tasking, ovvero buone per ogni marca di materiale. Della serie “comprami, io sono in vendita e non mi credere irraggiungibile*”.

Sarò un somaro io, che di semplice in ‘sto lavoro disgraziato e bellissimo, non ho mai trovato nulla e ho sempre pagato e a caro prezzo ogni leggerezza, ogni piccola distrazione, ogni faciloneria.

Ma passiamo oltre.

Esiste poi un problema enorme che riguarda la qualità e la quantità dell’evidenza scientifica disponibile.

E’ ormai accertato come non basti una vita intera sacrificata allo studio per leggere tutta la mole di articoli scientifici prodotti. Così come la valida scorciatoia delle revisioni sistematiche possa nascondere bug sostanziali in relazione alla qualità dei singoli studi selezionati.

E’ ormai accertata l’ingerenza che le case farmaceutiche o le aziende del settore esercitano in evidente conflitto di interessi nella produzione e sponsorizzazione della ricerca clinica, con tanto di professoroni a libro paga.

E’ ormai accertato come gran parte delle cose che pratichiamo nella clinica quotidiana in realtà non siano supportate da una valida evidenza scientifica.

E le poche cose che sappiamo magari non sono praticabili per costi o per moda.

Prendiamo ad esempio l’ampio settore della protesi fissa.

Sappiamo ormai da anni che l’oro rappresenta in assoluto il materiale più longevo e con le migliori proprietà meccaniche in relazione al dente naturale.

Però non solo diciamo che è vecchio, ma ci raccontiamo pure che i pazienti non lo vogliono perché è brutto.

Ma facciamo di peggio: non lo insegniamo più agli studenti!

In fondo che minchia gliene fotte a ‘sti studenti di imparare la geometria di una preparazione e la rifinitura certosina di un bordo da consegnare al tecnico.

Ma torniamo al digitale, suvvia.

E’ impossibile non notare la forzatura che le aziende, che hanno in gioco interessi mostruosi, operano nei confronti della categoria, anche per mezzo di prezzolati opinion leader che pontificano sulle magnifiche sorti e progressive** dell’odontoiatria digitalizzata 4.0.

Prima esercitano un condizionamento psicologico, ovvero ti fanno sentire obsoleto: se non acquisti uno scanner intraorale dove cazzo vuoi andare? Ma stai scherzando? Guardati attorno, c’è la ripresa bello mio! Non vuoi farti trovare pronto? I pazienti adesso cercano solo dentisti ultrasmart che fanno tutto con il mouse e l’applicazione strafiga.

Poco importa se quando ti addentri per capire meglio rimangono inevase questioni sostanziali di assoluta rilevanza che riguardano sia l’agibilità clinica, sia l’eventuale post-produzione.

Gli unici vantaggi che tale tecnologia autorizza sono:

  1. l’eliminazione della conservazione dei modelli in gesso, problema di non poco spazio e facile gestione;
  2. l’agilità di re-intervento in caso di fallimento, poiché tutto è acquisito in formato digitale e quindi agevolmente recuperabile e gestibile.

Quindi che business è?

Non è vero che consente un risparmio come sbandierato ai quattro venti, perché se parliamo di ROI ovvero return on investment, quello che i marketer chiamano ritorno sull’investimento, è lecito chiedersi a quante impronte “analogiche” corrispondono circa 15-20 mila euro più 1000-2000 euro annuali buoni buoni di abbonamento.

Però se fai le corone direttamente in Studio risparmi sull’odontotecnico! Grandioso!

Ma a parte la liceità (normativa sui dispositivi sanitari e dichiarazioni di conformità) di quale qualità parliamo?

Di seguito un estratto del battibecco avuto con uno dei gran visir di una nota azienda:

“Il ragionamento è: lo fa Lei direttamente in giornata e toglie dal bilancio le spese di laboratorio, così lo può proporre al paziente ad un costo inferiore e quindi diventa molto appetibile” 

“Ma il tempo che io impiego a realizzare il manufatto comunque ha un costo”

“Può farlo fare all’assistente adeguatamente formata, nel contratto sono comprese tre giornate di educazione in studio”

“Ma guardi che le assistenti fanno fatica a gestire il programma gestionale dello studio, non è che siano proprio degli assi della tecnologia. E soprattutto hanno molto da fare in studio, non è che posso prendere una, perdere un sacco di tempo a specializzarla ed impiegarla nella produzione, perché a quel punto significa che dovrei assumere un’altra persona a sostituirla nelle mansioni ordinarie…Inoltre, da quel che ho visto, rendere la corona prodotta del giusto colore richiede competenze altamente qualificate”

“Ma il paziente non se ne accorge nemmeno, deve pensare al top manager che vuole fare tutto in giornata”

“Scusi, ma per curiosità, quanto unità devo produrre per rientrare dall’investimento?”

“Abbiamo calcolato che con trenta corone al mese rientra in cinque anni”

“Se facessi trenta corone al mese l’ultima cosa che mi verrebbe in mente è comprarmi il fresatore”

Grazie, prego, scusi, tornerò!*

Tra me e me penso: “Top-manager…ma va a cagher!?”.

D’improvviso però comprendo che quest’idea di eliminare il tecnico dalla filiera produttiva è un’operazione di marketing strepitosa, sicuramente accolta con entusiasmo in molti studi, ingolositi dal facile profitto, come la risoluzione definitiva di un problema cronico, tollerato, ma mai completamente affrontato.

Tuttavia significherebbe, purtroppo, la perdita di una figura essenziale per il benessere della nostra categoria e in definitiva della nostra reputazione.

L’odontotecnico è colui che finalizza il nostro lavoro e che nella stragrande maggioranza dei casi  lo valorizza con eccellenti opere di un artigianato autentico e sapiente.

Vedere un ceramista all’opera è qualcosa che regala un’emozione indescrivibile.

Quanta conoscenza, quanta perizia e quanto mestiere in quei pennelli che creano dal nulla la forma di un frammento importante di umanità, che ristabilisce un sorriso laddove regnava vergogna, che riporta indietro il tempo sfuggito di mano troppo di fretta.

L’odontotecnico non è un tirapiedi o un maggiordomo al servizio del dentista-padrone, bensì un professionista con una profondissima conoscenza materica e competenze uniche, pertanto una figura con una sua dignità che è giusto riconoscere e rispettare.

Dietro l’artigiano c’è poi l’uomo, spesso con la sua famiglia, dannatamente aggrappato ad una passione incrollabile, al punto che è difficile stabilire il confine fra dovere e vocazione, laddove il gesto tecnico si sublima in atto artistico.

Distruggere la categoria degli odontotecnici o comunque impoverirla per squallide ragioni di profitto significa perdere molto di più di collaboratori fedeli e preziosi, significa perdere la conoscenza di un mestiere.

“È il progresso bellezza” ripetono i soloni, mai minimamente sfiorati dal dubbio che la luce in fondo al tunnel**** non sia in realtà il segnale di un nuovo giorno, ma piuttosto i fari della locomotiva che ci sta correndo addosso.

Gli stessi che ignorano la differenza che passa fra progresso e sviluppo.

Se questa è evoluzione della specie, allora io sto con l’eredità morale di Pasolini (alla cui tragica scomparsa è dedicata la canzone che da il titolo a questo articolo), ovvero “favorevole al progresso, ma contrario a quest’idea di sviluppo” che rende gli uomini schiavi del profitto e consumatori seriali di beni superflui.

Matteo

“È una storia da carabinieri, è una storia per parrucchieri

È una storia un po’ sputtanata o è una storia sbagliata” – FDA

* Cit. Viola Valentino – Comprami

** Cit. Giacomo Leopardi – La ginestra

*** Cit. Adriano Celentano – Grazie prego scusi

**** Cit. Enrico Letta – Presidente del Consiglio dei Ministri, 2014

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