Ricchi, ricchissimi, praticamente in mutande.

di | 23 Maggio 2018

La digitalizzazione logora chi non ce l’ha

  

Proprio ieri sono andato a fare un giro all’EXPODENTAL a Rimini, la grande fiera del dentale. Ero mosso da curiosità e da quel filo di entusiasmo suscitato dalla speranza di incontrare e rivedere vecchi amici di ambo le fazioni: colleghi e rivenditori.

 

Arrivato al parcheggio, le scintillanti fuoriserie mi hanno ricordato che c’è stato un tempo in cui l’odontoiatria era un diffuso Bengodi, talmente lussureggiante al punto che ci si poteva permettere il lusso di non avere il cosìddetto controllo di gestione.

Vocaboli come budget, budgetizzare, business plan, break even point, return on investment o ROI, costi fissi e costi variabili, erano lungi da venire, sconosciuti ai più e consoni piuttosto a una grandissima supercazzola prematurata degna di Amici Miei*.

La gestione contabile e fiscale era infatti normalmente delegata, con un vero e proprio atto di fede, all’amico commercialista e universalmente si era soliti imprecare a fine anno, una volta messi al corrente della base imponibile.

A quei tempi, tuttavia, i più smaliziati, da buoni italiani, si apparavano, si adeguavano. Si aggiustavano altrettanto comodamente drenando risorse dalla diffusissima rete di elusione. Sospinti, direi autolegittimatisi da un sentimento libertario di rivalsa rispetto al Fisco Vampiro.

Il sommerso, il nero, black, cash, popooom, senza fiori e via dicendo, è stato anche un tratto caratterizzante (e negli anni decisamente squalificante) della categoria.

Scaffali e cassetti pieni di strumenti, materiali e attrezzature assolutamente inutili rappresentano la testimonianza indiretta di quell’opulenza, quasi sfrontata, a cui i vari rivenditori, spesso protetti da una rete di monopolio, si dedicavano con mestiere da affabulatori. Armati solamente di una smisurata piaggeria e l’idea, fissa ed ardimentosa, di un assalto alla diligenza.

Rappresentati travestiti da Robin Hood de noantri, vivacchiavano alla grande alleggerendo le tasche rigonfie dei dentisti e riempendone al contempo i cassetti delle più improbabili cianfrusaglie, spacciate per mirabolanti innovazioni.

All’aumentare dei fatturati cresceva di pari passo il livello di cafoneria, ostentata in tutti i contesti immaginabili, raggiungendo picchi di inaudita sgradevolezza. Un primato tutto nostrano a fronte invece di nicchie culturali di eccellenza professionale, che ancora resistono, sempre più isolate ed emarginate.

All’interno dell’esposizione il mio personale disagio è vieppiù aumentato: scanner intraorali, fresatori e cone beam dominavano la maggior parte degli spazi fieristici.

La digitalizzazione evocata come i n a r r e s t a b i l e  durante tutti i workshop, le conferenze, le sessioni di lavoro. Insomma, No way down.

 

Una forzatura dietro la quale si percepisce molto chiaramente la puzza dell’inciucio con le aziende. Del tornaconto di opinion leader a libro paga, senza eleganza e privi di quello spessore che solo l’etica medica può concedere.

Quanta tristezza nel constatare che si è perso definitivamente il contatto con il mondo reale. Quello della gente che fa fatica a pagare un’otturazione, che rimanda le terapie raccomandate o che sceglie di non curarsi per permettere ai propri figli di accedere alle cure.

 

Children first”, come nel secondo dopoguerra.

 

E nell’ubriacatura generale di questo favoloso Truman Show de’noantri, prendere atto che c’è più di un qualche povero disgraziato odontotecnico che ha fatto il passo più lungo della gamba, non calcolando affatto il peso economico dell’investimento digitale. Dell’abbonamento a vita a cui ti costringono, dell’obsolescenza fulminante a cui vanno incontro le apparecchiature (destinate quindi a perdere valore istantaneamente dopo l’acquisto).

Persone ancora non perfettamente pronte ad accettare il grande inganno: quello di aver messo la propria sorte professionale completamente nelle mani delle aziende.

Aziende che presumibilmente hanno già in progetto di sostituirli, come puntualmente accade per molte lavorazioni.

Sicuramente è la fine dell’odontotecnico per come molti di noi lo hanno conosciuto, ma ho più di qualche ragionevole dubbio che l’odontotecnico del futuro (sempre ammesso che ci sarà?!) sia digitale o digitabile, come queste immonde sirene stanno declamando.

Perché chi si digitalizza, almeno al momento, sarà costretto ad aumentare i costi di produzione e non a ridurli (bugiardi) proprio in relazione all’investimento economico che la digitalizzazione ancora richiede.

 

E, amaro boccone da inghiottire per chi ha dedicato la propria vita ad acquisire una professionalità smisurata, ad abbandonare i processi di produzione artigianali, che invece rappresentano il vero valore differenziante dell’impresa odontotecnica.

La verità è impietosa: vengono fuori come funghi personaggi incapaci di tenere in mano una spatola da cera o un pennello da ceramica. Disabilità riabilitate dagli splendidi e rifornitissimi archivi digitali, su questo tanto di cappello. È sufficiente colorare, sticazzi.

Quanti soloni ho sentito biascicare la parola PROGETTO, con le varie declinazioni: progettazione, previsualizzazione, pretutto.

Si d’accordo! Tutto molto bello! Però il progetto è un atto medico: si chiama piano di trattamento e risponde a precise indicazioni e caratteristiche che il singolo caso richiede. Quindi è individuale!

Ma soprattutto non è e non deve essere vincolato all’interpretazione digitale. Che è (ancora) piuttosto limitata nelle soluzioni odontotecniche! Punto. E finché sarà limitata, non potrà essere libera. Fine dei discorsi.

Per non parlare della supercazzola della protesi mobile digitale.

Facendo i conti della serva proprio con un navigato e smaliziato ‘mobiliere’, peraltro fervente credente nell’evangelizzazione digitale, questi mi ha assicurato che è ancora assolutamente conveniente la via artigianale.

E lo sarà per un bel pezzo signori miei, tanto che, probabilmente, alla protesi totale, che a quanti se lo ricordano solo a giorni alterni, rammento essere una protesi SOCIALE, completamente digitale in pratica non si arriverà mai.

Infine i costi: hai voglia a raccontare che si abbassano. Abbassateli teste di cazzo!

Poi ne parliamo.

Uscendo dalla fiera, turbato quanto preoccupato dall’incerto orizzonte, improvvisamente mi sovviene l’umore agrodolce della speranza.

Di che mondo parliamo? Di quale modernità? Quale digitalizzazione si può proporre ad una categoria odontoiatrica che è mediamente così talmente impreparata, così ottusa, così gretta ed in definitiva così arretrata?

Stiamo cercando di vendere la digitalizzazione alla punta dell’iceberg? Alle cosiddette eccellenze? Quelle che rendono l’Italia il Bel Paese nonostante tutta la circostante oscenità?

Beh, allora almeno mostrate dei bei lavori…non quella mondezza che ho visto!

Certo, potete legittimamente pensare che io sia un dinosauro, che appartenga ad una razza in via di estinzione, o già praticamente scomparsa. E non c’è alcun dubbio che sia così!

Tuttavia non preoccupatevi! Sono in buona compagnia di tanti splendidi colleghi di oggi e di ieri (manchi tanto lo sai?).

Persone con cui si parla e si parlava soltanto di denti e di valori, intesi come etica, salute del paziente, benessere dei propri collaboratori e non come fatturato, base imponibile, escatologia fiscale.

 

#celhodurismo per sfigati.

Roba per cafoni coi macchinoni.

 

All’uscita, il pedaggio corrisposto per il parcheggio, mi ha ricordato all’istante che è ancora diffusissima la reputazione di galline dalle uova d’oro. Sedici euro!! Un’estorsione, maledetti bastardi! Ve possino!

Arrivederci al prossimo anno!

 

Matteo

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