Dalli all’abusivo

di | 10 Giugno 2018

 

E stare in piedi è quasi una magia, tra tanti imbrogli, tanta ipocrisia;

Andiamo avanti senza mai guardare giù. Tornare indietro non si può più – Bravi Ragazzi – Miguel Bosé

 

L’esercizio abusivo di professione sanitaria è un reato.

Articolo 348 del codice penale, che recita testualmente:

 

“Chiunque abusivamente esercita una professione, per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro diecimila a euro cinquantamila”

 

Una pena severa, giusta! Non fosse che siamo nel paese di Sottosopra*, dove la giustizia non funziona, gli impostori imperano e gli onesti vengono inesorabilmente e sistematicamente zimbellati dai furbetti, dal moloch della burocrazia, da un sistema fra l’assurdo e il grottesco di regole disordinate e spesso contraddittorie.

 

Anche nelle varie professioni il confine può non sembrare così netto e spesso vi è una sovrapposizione di mansioni…il ragioniere che fa il commercialista, il geometra che si ingegna ad architetto, il grafico che si allarga a designer e via dicendo.

 

Tuttavia, se da un punto di vista strettamente normativo le varie professioni sono adeguatamente regolamentate ed inquadrate all’interno di albi e/o ordini professionali, la differenza può non essere così scontata, tanto da sfuggire all’inerme cittadino, il cui principale cruccio nel rivolgersi a chicchessia professionista, sarà sempre fisiologicamente quello di risolvere il proprio problema, nel modo più rapido, più ecologico e magari più vantaggioso possibile.

 

Scivolare nell’abusivismo in sé può essere dolce, quasi impercettibile, talvolta inevitabile.

 

L’ottico che fa le veci dell’oculista, magari consegnando al paziente un occhiale finalmente perfettamente bilanciato. Il massaggiatore che si avventura nella fisioterapia, rimettendo in sesto un corpo ammaccato. Il fisioterapista che vicaria il fisiatra e l’ortopedico, ché quelli ti visitano in 5 minuti netti e ti prescrivono sempre il solito mantra di terapie di certo costo, ma di dubbia utilità: ultrasuoni, tecar, qualche laser, mobilizzazione, etc.

 

Talvolta si scivola nell’abusivismo per vanità o presunzione: l’infermiere che si eleva a moderno cerusico sentendosi in grado di rimpiazzare il chirurgo, il barelliere che sognava di diventare internista e con fierezza dispensa diagnosi e consigli in corsia.

 

Talaltra l’abusivo può nascondere una genialità sopita: l’odontotecnico che (molto spesso) capisce di più dell’odontoiatra, così come l’esercito di nonne capaci di umiliare cuochi stellati e vecchie glorie dei fornelli.

 

Già! Perché l’abusivismo è un reato non c’è ombra di dubbio. Ma non per forza un diploma di laurea è garanzia di onestà intellettuale, né di capacità e competenza professionale, specialmente quando l’istruzione secondaria è viziata da scellerate logiche clientelari, invece che poggiare su solide radici meritocratiche.

 

Ciò detto, in ambito odontoiatrico l’abusivismo è un comportamento diffuso, di portata probabilmente storica, tollerato negli anni gloriosi della dentisteria delle vacche grasse e mai completamente affrontato dagli organi preposti, ordini professionali in primis.

 

Il problema è di non facile soluzione in relazione ad aspetti complessi come il prestanomismo, la scarsità di mezzi investigativi, il collaborazionismo di enti che garantiscono copertura e impunità, a cui si aggiunge l’omertà consapevole di chi sa perfettamente che il denunciare l’abusivo si riduce ad un isolato atto di eroismo, quasi sempre inutile e spesso controproducente perché probabile fonte di ritorsioni.

 

 

Che altro aggiungere?

La gravità dell’illecito agli occhi degli inquirenti non è paragonabile alla marea di delinquenza che si trovano ad affrontare come servitori di uno Stato, che ha il vizio di voltarsi dall’altra parte quando si tratta di punire  i delinquenti e l’abitudine di tagliare risorse utili alla prevenzione e alla persecuzione dei reati.

 

Perciò in un paese con tassi di delinquenza sudamericani, dobbiamo arrenderci alla constatazione che ubi major, minor cessat. Amen.

 

Da diversi anni assistiamo al lungo crepuscolo della professione odontoiatrica.

Una professione sanitaria da sempre abbandonata al regime privatistico da un Sistema Sanitario Nazionale incapace di renderla universale e di gestirne i costi, comunque sostanziosi se si vuol garantire qualità.

 

L’odontoiatria privata è storicamente arroccata in corporazioni tendenzialmente conservatrici che nel corso degli anni ruggenti si sono ben guardate dal fare educazione, dal piantare il seme della cultura che potesse rendere la specialistica comprensibile ed anche abbordabile ai più.

 

Organizzazioni incapaci di una predicazione che non si limitasse all’inutile mese della carie e alla solita pallosissima litania della prevenzione, lasciando di fatto inaccessibili alla maggioranza i costi di accesso alle terapie, se è vero, com’è vero che soltanto un terzo della popolazione si cura dal dentista.

 

E invece che domandarsi a cosa serva un mese di visite gratuite (fatte come? Ad minchiam, what else?), se poi la gente non ha i soldi per curarsi, si è scelto piuttosto di mantenere una distanza netta, nel solco della tradizione italica del Marchese del Grillo: “io so io e voi non siete un cazzo!”.

 

Organizzazioni altresì colpevolmente incapaci di selezionare e premiare i virtuosi ed isolare e punire gli scalzacani, i disonesti, rendendo l’odontoiatria una terra di corsari, affaristi, evasori, vanitosi, avidi, ignoranti, ciarlatani.

 

C’è da chiedersi, al netto di bizantinismi vari, se l’abusivismo non sia stato piuttosto favorito da questo atteggiamento corporativistico di sconsiderata superbia. Dal non essere stati in grado di toglierci di dosso una volta per tutte la macabra reputazione di cavadenti, nomea che ereditiamo dal cerusico/barbiere delle piazze del settecento. E allora, dalli all’abusivo!

 

Questi dinosauri della professione non potevano certo immaginare che l’asteroide che ne avrebbe messo in pericolo la sopravvivenza si sarebbe manifestato sotto forma della più grave crisi economica del dopoguerra.

Così la grande mietitrice, amplificando le disuguaglianze, ha falciato la classe media, rendendo i costi di accesso alle terapie, prima sostenuti dalla famiglie con sacrifici calendarizzabili, di fatto inaffrontabili.

L’effetto collaterale più immediato si è manifestato sotto forma della cosiddetta sindrome della poltrona vuota, che ha progressivamente ed inesorabilmente desertificato le sale d’attesa dei professionisti, sorpresi nella loro routine di imprevidente inerzia.

 

A dare il colpo di grazia sono infine arrivate le cosiddette catene del low-cost, guidate da imprenditori spregiudicati, capaci di ribaltare l’idea nobile di salute orale in un prodotto da vendere. Quindi in grado di rivolgersi alla sterminata utenza dei consumatori, con il vantaggio di un marketing ficcante e pervasivo, sicuramente innovativo rispetto al vuoto di comunicazione che la categoria si è lasciata alle spalle. Addirittura mutuando virtualmente una funzione pubblica, andando cioè a riempire quell’esigenza sociale di un’odontoiatria universale, tanto prepotente quanto, per troppo tempo, dolosamente ignorata. Tu, comunque, dalli all’abusivo!

 

In questo omissione colpevole di cultura specifica, la maggior parte di noi si è trovata assolutamente impreparata a reagire e chi lo ha fatto ha dovuto ben presto rendersi conto di come risulti oramai impossibile far comprendere ai più, che può esistere una netta e sostanziale differenza nella qualità delle prestazioni e del servizio offerto al paziente.

 

Diventa oltremodo difficile resistere su questo Piave al solo grido di qualità, soprattutto quando abbiamo alle spalle un’ecatombe di pazienti torturati e massacrati in nome del più bieco arrivismo economico. È passato, e da un pezzo, lo straniero, ma non importa. Tu dalli all’abusivo.

 

Così, siccome non possiamo sanzionare l’abusivismo etico di chi specula sul bene salute orale, ci preoccupiamo di combattere vecchi fantasmi, senza mai essere incisivi, né risolutivi.

 

Per l’abusivismo classico, quello del cerusico, sarebbero sufficienti pene severe.

Non tanto per chi lo commette, quanto per chi di fatto lo autorizza e lo sdogana: il palo o prestanome che dir si voglia. Invece che stappargli la laurea di cui si è reso indegno e radiarlo con infamia dalla categoria, gli si concede una sospensione irrisoria, spesso aggirabile con un buon avvocato. Tu, però, dalli all’abusivo.

 

Con mestizia si sceglie il male minore: rompere i coglioni agli odontotecnici, ostacolandone l’inquadramento in un profilo sacrosanto, mortificandoli in ogni occasione e contesto possibile, abbandonando a se stessa una maestranza di vitale importanza per la nostra reputazione e che potrebbe piuttosto contribuire in maniera cruciale al rilancio, anche economico, del nostro settore.

 

Così le scuole di odontotecnica chiudono, si perde un mestiere importante e una risorsa che, quando inserita in una sinergia leale e proficua con il clinico può essere oggi realmente vincente e differenziante rispetto all’omologazione proposta dalle cicale del discount odontoiatrico.

 

Quelli che rimangono a stento aggrappati a un mestiere, che è tutta passione, scegliamo di zimbellarli allegramente impedendogli addirittura di affiancare il medico in operazioni assolutamente non invasive come la presa del colore o le varie prove estetiche che la clinica richiede.

Invece, per quella che è la mia visione, penso a quale contributo possa dare l’odontotecnico al clinico, avendo la possibilità di vedere il paziente, di parlargli, di farsi un’idea del carattere, di avere l’opportunità di tracciarne la personalità, di verificare nel tempo la bontà di quanto realizzato, di visionarne le complicanze.

 

Può essere che io abbia ragione, oppure no. Non importa. Tu, dalli all’abusivo!

 

Per l’abusivismo etico delle catene (e dei sedicenti califfi**), invece, sarebbe sufficiente una mirata campagna di informazione rivolta al pubblico.

Ma la categoria, invece che battersi per far comprendere l’importanza di adottare materiali di qualità garantita, di seguire protocolli clinici raccomandati, di rispettare rigidi standard di sicurezza, invece che lottare per imporre l’orario minimo, ovvero certificare che il valore di ogni prestazione odontoiatrica è funzione del tempo impiegato a realizzarla e della competenza professionale coinvolta, si arrocca su posizioni e battaglie dal sapore medievale, rivendicando il tariffario minimo. Chissenefrega?! Tu dalli all’abusivo.

 

 

I tempi sono irrimediabilmente cambiati. I fasti della gloriosa e redditizia odontoiatria nostrana sono lontani e verosimilmente non torneranno più.

Nell’inesorabile declino della professione assistiamo impotenti a un’ultima e insopportabile umiliazione: la mortificazione dei giovani laureati, spesso costretti ad accettare condizioni economiche avvilenti, in ragione del drammatico contesto in cui si trovano ad esercitare.

 

Per chi non è figlio d’arte non c’è futuro.

Nel paese di Sottosopra non poteva mancare il paradosso della deontologia: in una manica di felloni, l’unico colpevole è l’abusivo. E allora tu dalli all’abusivo.

 

 

Vi è poi una forma di abusivismo professionale, molto più diffusa, tanto penetrante e radicata, quanto spudorata.

 

L’abusivismo de’ noantri , quello retail, tollerato perché, con una buona dose di opportunismo, ritenuto soft. Perché fa comodo, perché consente un’ottimizzazione del lavoro e un contenimento dei costi di gestione. L’abusivismo rosa, consentito perché si sceglie di interpretare il mansionario on demand, approfittando dei presunti vuoti normativi.

 

L’abusivismo della pagliuzza, ovvero quello delle assistenti (preziosissime) che coadiuvano l’attività clinica, magari allargandosi con l’autorizzazione, il beneplacito e la copertura del medico.

Le assistenti che smanettano: scattando radiografie, prendono un alginato, ricementano un provvisorio, rimuovono una sutura, attaccano brakets, smontano e rimontano apparecchi, fili, bande e così via, secondo un escalation che può arrivare fino alla detartrasi, o addirittura all’otturazione semplice (?).

 

Analogamente, l’odontotecnico che affianca il medico nella protesi mobile, magari vicariandolo per alcune prove non invasive.

 

Un abusivismo di maniera, che è fonte magari di qualche sopportabile imbarazzo, ma di cui nessuno si scandalizza.

 

Così in quell’incredibile scala di grigi che è la realtà di questo mondo, possiamo scoprire che alla fine della fiera, probabilmente, siamo tutti un po’ abusivi. Ma qualcuno è più abusivo degli altri***.

 

Oppure, per parafrasare il Signor G: io non temo l’abusivo in sé, temo l’abusivo in me!****

 

E allora tu dalli all’abusivo!

 

 Matteo 

 

 

* cit. Andrea Scanzi, il Fatto Quotidiano

** col termine Califfi si intendono quei corsari della professione più spesso incapaci ed interessati soltanto all’arricchimento sfrenato e morboso.

*** liberamente ispirato a “La fattoria degli animali” di G. Orwell

**** cit. Giorgio Gaber

 

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