PREMESSA
Mentre scrivo siamo in piena emergenza nazionale: la diffusione del virus CoSars-2, responsabile della sindrome COVID-19, è da poco stata elevata al livello di pandemia dall’OMS.
Tutta l’Italia è stata dichiarata per decreto zona protetta, con limitazioni che incidono pesantemente sulla nostra quotidianità: l’obiettivo dichiarato è il rallentamento della diffusione dell’infezione attraverso il distanziamento sociale, allo scopo di scaricare la pressione sul sistema sanitario nazionale.
Le notizie che arrivano sono drammatiche e assomigliano sempre di più ad un bollettino di guerra. Ogni sera la protezione civile aggiorna il bilancio: numero di nuovi casi infetti, numero di ospedalizzati, numero di morti.
La Lombardia è la regione più colpita: le cicatrici sembrano quelle provocate da un bombardamento.
Stiamo aspettando con ansia tremenda il plateau dell’epidemia, ovvero il picco, perché, dopo il picco, inizierà la discesa e con la discesa la speranza di uscire da questo incubo.
PRIMO INTERMEZZO
Devo essere sincero: all’inizio pensavamo che la cosa non ci riguardasse e che il problema, per quanto reale, fosse lontano e tuttavia amplificato.
In fondo, da più parti, si sentiva dire che si trattasse poco più di un’influenza.
Le notizie arrivavano confuse e forse, per scaramanzia o per non creare ingiustificato allarmismo, si tendeva a minimizzare.
Per questo inizialmente abbiamo pensato: cosa sarà mai?
Per questo inizialmente abbiamo sperato di poter continuare a lavorare normalmente.
Il pensiero è corso immediatamente alle terapie in fase di realizzazione, ai nostri pazienti in trattamento, ai collaboratori, ai fornitori, alle nostre ragazze.
Ecco le nostre ragazze…abbiamo due segretarie e quattro assistenti.
Dal primo di marzo abbiamo assunto la quarta assistente, perché il carico di lavoro ormai lo richiedeva. Eravamo contenti di ampliare la nostra famiglia, convinti che uno dei nostri asset vincenti, accanto alla competenza clinica, fosse il servizio al paziente attraverso un team preparato, cortese, sorridente, affidabile.
Ci trovavamo, infatti, in un momento florido della nostra attività, sempre cresciuta dal nostro esordio a Faenza nel 2006.
E avevamo la piena consapevolezza che fossero sempre stati proprio questi i mesi dell’anno più proficui, sia dal punto di vista organizzativo, col dispiegamento delle strategie aziendali studiate e preparate (investimenti in strumenti e attrezzature, aggiornamenti del sapere scientifico e tecnologico, digitalizzazione dei processi, etc.), sia dal punto di vista clinico, con la programmazione, calendarizzazione e sviluppo dei piani di cura.
Insomma i primi mesi dell’anno hanno sempre rappresentato il volano principale della nostra attività.
Poi la situazione è progressivamente degenerata.
Nonostante le direttive fossero poco chiare e la nostra professione risultasse esclusa dalle norme restrittive, non senza turbamento, abbiamo deciso in un primo momento di filtrare e limitare gli accessi allo studio, diradando gli appuntamenti e lasciando solo le operatività indifferibili.
Quindi nell’arco di 24 ore, al precipitare della situazione e compresi i rischi reali a cui potevamo esporre i nostri assistiti, il nostro personale e noi stessi, in piena autonomia abbiamo disposto l’immediata sospensione dell’attività clinica, riservandola eventualmente ai soli casi di pressante urgenza/emergenza.
La decisione è stata violenta, dolorosa, severa.
È stato come fermare una locomotiva in corsa e ha comportato un carico di lavoro enorme per le nostre segretarie Giulia ed Emanuela, costrette a contattare tutti i pazienti programmati in agenda, informarli e ricalendarizzarli senza la certezza di conoscere precisamente quando saremmo usciti dall’emergenza.
Nervosismo, tensione, preoccupazione, smarrimento sono stati i sentimenti che ci hanno attraversato. Ci siamo sentiti tutti impotenti di fronte a una situazione mai vissuta in precedenza.
Eravamo partiti da zero, quasi vent’anni fa.
Davide, Letizia ed io, in un piccolo studio di campagna, uniti dall’amicizia e dalla comune visione della professione. Per ben quattro anni soli, senza assistenti abbiamo esplorato le differenti dimensioni del nostro lavoro e imparato la misura del sacrificio.
Anno dopo anno, lentamente, con perseveranza e duro impegno, eravamo riusciti a sviluppare il nostro studio, inseguendo il nostro sogno e la nostra idea della professione, coltivando le competenze necessarie, ispirandole a principi di verità, etica e alimentandole con la bruciante passione della nostra gioventù.
Per questo non è stato affatto facile decidere di fermarci… con la consapevolezza che giorno dopo giorno poteva concretizzarsi la tempesta perfetta.
Il rischio di perdere tutto quanto avevamo con fatica realizzato, la preoccupazione per quel che sarà di noi, del nostro mondo, del nostro personale e dei nostri collaboratori.
E poi l’angoscia per i nostri amati pazienti, con cui abbiamo sempre cercato di costruire un rapporto umano al di là della relazione professionale. Tutto questo insieme di timori si addensava come fuliggine e un’inquietudine crescente nei nostri pensieri: tornavamo a vedere nubi nerissime all’orizzonte.
Il senso di impotenza è stato dirompente, impetuoso, travolgente.
La sbandata significativa e piena di umana fragilità.
Il tempo brevissimo per trovare quel minimo di lucidità necessaria a mettere ordine tra i pensieri e non concedere all’emotività di debordare oltre.
Significava aggrapparsi al flebile filo di speranza e incamminarsi lungo una razionalità misurata e concreta.
Dovevamo ora più che mai essere di esempio per i nostri collaboratori.
Allora seguendo quel guizzo dell’intelletto autentico e peculiare che ci aveva permesso fino ad oggi di intravedere un’opportunità in ogni disgrazia, ci siamo sforzati di osservare la situazione da una prospettiva diversa.
SVOLGIMENTO
In studio oltre all’attività clinica che occupa la maggior parte del nostro impegno e del nostro tempo, c’è infatti tutta una serie di attività collaterali che potevano avere in questo momento la priorità e godere della nostra piena attenzione.
Aggiornare il magazzino, digitalizzarlo per renderlo ergonomico ed efficiente.
Riordinare i cassetti, buttare il superfluo, archiviare i modelli in gesso, ordinandoli per nome e tipologia di lavoro svolto. E poi rinfrescare i locali, pulendo a fondo ed eliminando i graffi e i segni del tempo… rimodulare gli spazi, stuccando e riverniciando le crepe.
Ma anche formazione interna, che significava rivedere i processi e attualizzarli migliorandoli. Dovevamo inserire un’assistente appena assunta: avevamo a disposizione del tempo prezioso per dedicarci a un compito delicato e impellente.
Insomma il nostro pensiero e il nostro obiettivo sarebbe stato quello di farci trovare pronti quando fosse arrivato il momento di riprendere la nostra attività a pieno regime.
Quindi il nostro atteggiamento, ricalcando gli insegnamenti ricevuti, è stato quello di reagire alla criticità in maniera proattiva: c’era in fondo più di una lezione che dovevamo trarre da questa situazione.
Che cosa resterà di questa esperienza?
Questo virus maledetto, in fondo, aveva contribuito a svelare la verità delle cose.
Ragionandoci bene queste sarebbero state le nostre considerazioni a bocce ferme.
In ordine sparso:
- prima dei diritti vengono i doveri: la responsabilità dei nostri comportamenti individuali può contribuire al benessere comune;
- non si può attendere che qualcuno decida per te: il buon senso non ammette deroghe;
- gli individui che ricoprono gli incarichi rappresentativi ai vertici delle varie associazioni di categoria si sono dimostrati oltremodo inadeguati nel dare indicazioni chiare sui comportamenti da adottare e rivelato la misura della loro inettitudine;
- la percezione del controllo è totalmente illusoria: in questo mondo non controlliamo proprio un cazzo! Anzi per la maggior parte del nostro tempo facciamo più danni che altro;
- il suffragio universale è un gran privilegio: sarebbe il caso di ricordarcelo quando abbiamo l’occasione di esprimere il voto. Che poi ognuno dovrebbe impegnarsi, magari studiando e acculturandosi da sé, per non sprecarlo è tutto un altro discorso;
- la prossima volta che ci capita questo privilegio, magari non dimentichiamo che questo virus maledetto ci ha svelato una grande verità: su scuola e sanità si è sbagliato tutto! Ma proprio tutto e da anni (leggasi tagli alla ricerca e agli ospedali);
- se ci siamo trovati in questa criticità nazionale un po’ (anzi, più di un po’) è anche perché, in maniera scellerata, si è scelto di favorire la sanità privata (rammentarsi di chi si è fatto un culo così nel gestire l’emergenza all’interno degli ospedali pubblici);
- a reazioni irrazionali non si può rispondere con argomentazioni razionali: la paura batte la ragione tre a zero e l’irresponsabilità, che comprende anche il non assumersi la responsabilità delle proprie scelte e comportamenti, è un fenomeno diffuso. Troppo!
- ed è subito sera* o se volete, si sta come d’autunno sugli alberi le foglie**: ovvero la vita è breve! Bisognerebbe ricordarselo e capire alla svelta cosa è importante e cosa no. E dovremmo soprattutto trovare il coraggio di mettere in discussione il modello di sviluppo attuale, ricordando la lezione di Bob Kennedy: il PIL non misura la felicità dei popoli. O in alternativa quella di Pier Paolo Pasolini: “favorevole al progresso, ma contrario a quest’idea di sviluppo” che rende gli uomini schiavi del profitto e consumatori seriali di beni superflui (intervista a Enzo Biagi);
- ed è subito sera* – parte II: bisognerebbe smettere di essere cosi egoisti e così cattivi col proprio prossimo… cazzo! In fondo tutti abitiamo lo stesso pianeta, respiriamo tutti la stessa aria e siamo solo di passaggio. E questo era l’altro Kennedy, JFK;
- al termine di questa esperienza di quarantena, avremmo tutti voglia di rivederci ed abbracciarci e magari capiremo una volte per tutte che l’empatia non funziona da remoto e che dovremmo ricominciare a parlarci guardandoci negli occhi, alzandoli dalla tastiera del cellulare;
- la retorica degli italiani brava gente e la supercazzola degli italiani uniti nelle disgrazie è la più grande operazione di depistaggio dalle responsabilità: il dramma che stiamo vivendo ha svelato anche questo. Abbiamo piuttosto visto la solita Italia spaccata in due: chi fa il proprio dovere onestamente e con dedizione è elevato al rango di eroe, mentre chi viola sistematicamente (ed impunemente sic) le regole è dipinto come furbetto. Della serie: l’impresa eccezionale dammi retta è essere normale (cit. Lucio Dalla). Ecco, in queste condizioni il passo da eroe a coglione, o cretino, è davvero troppo breve!
CONCLUSIONI
Anche per quanto riguarda la nostra categoria questa situazione ha svelato le cose in maniera molto netta, direi lampante.
Ovvero che ci sono colleghi che operano nell’interesse esclusivo della salute propria e dei propri pazienti nel rispetto di principi sacrosanti di etica e deontologia: sono quelli che hanno sospeso l’attività ancor prima che glielo dicesse qualcuno dall’alto.
Poi ci sono quegli altri, che chiamarli colleghi è una bestemmia, che invece hanno continuato imperterriti a lavorare come se niente fosse, mettendo a rischio la salute propria e dei poveri pazienti, ovviamente attratti solo e soltanto dal mero guadagno! Questi fenomeni non hanno solamente contravvenuto all’ordinanza regionale finalizzata a limitare lo spostamento delle persone in ragione del distanziamento sociale, ma hanno dimostrato soprattutto di non avere buon senso civico. Né la rettitudine morale necessaria per esercitare la professione medica secondo i canoni di etica, decoro e dignità come impone il nostro codice deontologico.
No, questi non possiamo archiviarli come furbetti. Per farla breve si tratta semplicemente di SCIACALLI!
Lo sapevamo già, certo!
Ma il confine adesso è chiaro, netto, lucente.
Non ci sono più scuse: alea iacta est.
PS: poi c’è da ragionare e molto sui vari altisonanti tromboni rappresentanti (???) la categoria che hanno diramato comunicati pilateschi e vergognosi.
PPS: sono orgoglioso di appartenere all’albo Odontoiatri della provincia di Ravenna, perché il Presidente dr. Giorgio Papale, in piena autonomia e in assoluta controtendenza, ha raccomandato agli iscritti di sospendere l’attività clinica, riservandola ai soli casi di urgenza. Certo, l’importante è partecipare, ma ci sono partite dove invece conta arrivare per primi. Partite come questa.
* ed è subito sera – Salvatore Quasimodo
** Soldati – Giuseppe Ungaretti
Grazie Matteo, solo un grazie perche’ altre parole rovinerebbero il tuo scritto!!
Concordo pienamente!!????
Grazie mille Antonio! Un grande abbraccio
❤️
Ciao Sergio! Un grande abbraccio
…che altro dire….solo BRAVO !
Grazie mille Rubbert!!
…mi alzo in piedi e mi levo il cappello! Grazie.
“Cantare, sognar sereno e gaio, libero, indipendente, aver l’occhio sicuro e la voce possente.” …*
Alessandro
*Rostand “Ciranó de Bergerac”
Ciao Alessandro! Grazie mille…al fin della licenza io tocco.
Un abbraccio e a presto