Samuele Valerio (1946 – 2008)
Per me resti l’esempio più limpido da seguire – Professionalmente il più grande – Umanamente il più puro (MA)
Tutte le volte che ho l’occasione di parlare del mio lavoro a una platea di colleghi (non molte in realtà, essendo un freelance…ovvero privo di qualunque sponsor e refrattario alle varie associazioni/accademie di categoria), cerco di inserire il pratico nozionismo tecnico all’interno di un racconto di vita professionale.
La mia vita professionale ovviamente, tracciata assieme a Davide e Letizia e con tutto il nostro team di collaboratori.
Perché lo faccio?
A chi può interessare in fondo conoscere la nostra storia?
Lo faccio per diverse ragioni: la prima, al netto della perfetta convinzione di non aver alcuna verità assoluta in tasca e quindi di non poterla regalare a nessuno, è il tentativo di trasmettere un’emozione…collegarsi empaticamente alle persone, renderle in qualche modo partecipi e quindi meglio disposte ad ascoltare.
La seconda, non meno importante, risiede nella consapevolezza che ostentare la tecnica…rivelare la parte migliore del proprio lavoro (what else?) rappresenta in fondo soltanto un grande inaccettabile inganno!
Raccontare la fine, mostrare i risultati della propria personale ambizione, bravura o follia senza esibirne il dolore, ovvero il percorso che ti ha portato a conquistarli è uno show autocelebrativo sterile, che impedisce di coglierne l’essenza, rendendo di fatto impossibile misurarne concretamente il valore.
Raccontare la mia storia, per me significa soprattutto offrire l’opportunità di:
_calcolare, al di là del talento individuale, la reale portata in termini di fatica e sacrificio;
_esplorare la profondità tridimensionale della D: determinazione, dedizione, delusione;
_pesare il costo umano per la serie infinita di rinunce, errori e frustrazioni di cui è costellato il cammino;
_mostrare come il raccolto di tanto impegno siano non solamente risultati tecnicamente soddisfacenti e clinicamente tangibili, quanto piuttosto una dimensione umana più matura, perché ricca del patrimonio di differenti esperienze.
Si tratta quindi necessariamente di una ginnastica della memoria: ricordare chi eravamo, da dove siamo partiti e ricordare anche i maestri, che con il loro sapere hanno spalancato le nostre menti e con il loro carisma ispirato le nostre personalità.
Lorenzo Vanini: il primo a mostrarmi un universo professionale meraviglioso quanto sconosciuto, avendo io appena terminato di attraversare il buio della mediocrità universitaria.
Poi Fabio Gorni, gli amici Silvestre Ripoll e Stefano Bottacchiari, gli immensi Sandro Cortellini e Maurizio Tonetti e anche tutti gli altri (Kina, Allais, Barone, Patti, Burkhardt, etc.) che hanno lasciato in me una qualche traccia della loro esistenza.
In fondo questa è l’essenza primordiale e il significato profondo della parola divulgare. Lasciare agli altri qualcosa di sè.
Così l’occasione del webinar* appena concluso (ringrazio ancora di cuore Alice per avermi “obbligato” e Greta per avermi “svegliato”) mi ha restituito l’opportunità di conoscere alcuni colleghi, in virtù di una corrispondenza virtuale (mail), da me iniziata per l’impegno a rispondere alle domande emerse durante la presentazione.
Fra le lettere ricevute, ho particolarmente gradito quella di Alberto S, stupito nel sentire un “ragazzo” (sì! Così mi ha definito…ti voglio bene Alberto!) ricordare quella che io ritengo essere la persona che più di tutti ha influenzato la mia vita professionale e ispirato il mio sentirmi dentista oggi.
Chi mi conosce sa che sto parlando di Samuele Valerio: un vero gigante dell’odontoiatria, purtroppo ormai lontano nel tempo (ha lasciato questo mondo nel settembre del 2008).
Alberto mi raccontava di come lui fosse un grande ammiratore di Samuele e di come, durante il corso di studi all’università, fosse costretto a studiarlo di nascosto attraverso i VHS dell’epoca.
Erano quelli i tempi di un esasperato accanimento alla precisione assoluta…erano anche i tempi di dottrine occlusali rigide e amplificate dalla leziosa diatriba accademica tra le varie scuole, altere, sempre divise e pietrificate su un capriccioso quanto borioso campanilismo universitario.
A Roma imperava Martignoni Senior…col suo profilo di emergenza tangente, le chiusure a zero (0) micron, er cocco e er camion, ‘ndo cojo cojo, questo l’ho fatto io e questo l’ha fatto Dio…aó me sà che è mejo er mio e altre sparate dall’alto di una personalità granitica ed autoritaria.
A Brescia c’era lui, che con il “matto” Oliviero Turilazzi disegnavano la loro traiettoria luminosa e stupefacente.
Ricordo ancora la prima volta che lo incontrai di persona, convocato nel suo studio a Brescia per il colloquio preliminare per l’ammissione al suo corso annuale di Protesi Fissa.
Avete capito bene: Lui, che aveva una lista di attesa di ben cinque (5!!) anni, voleva incontrare coloro che si candidavano a frequentare il suo corso. Voleva soprattutto capire se fossimo sufficientemente preparati così da massimizzare l’apprendimento della sua didattica.
Per esempio, se eri digiuno di Parodontologia ti sconsigliava di partecipare, perché Lui, che era pure un raffinatissimo parodontologo, amava ripetere: il successo in protesi significa perfetta integrazione con i tessuti ed il finishing line è il punto d’incontro fra parodontologo e protesista.
E se non sai nulla di perio, dov’è che ti fermi?
Io fui fortunato: ero sul punto di concludere il percorso formativo in Parodontologia di Cortellini e Tonetti, e questo lo ben dispose ad accogliermi, anche perché di Sandro Cortellini nutriva una stima smisurata: era l’unico a cui avrebbe affidato la coordinazione di un piano di trattamento (mi confidò sorridendo, ndr).
Imparai poi frequentandolo, che aveva in realtà suddiviso i dodici partecipanti (12) in due gruppi da sei (A e B), consapevole che altrimenti non avrebbe potuto seguire adeguatamente i suoi allievi durante le frequenti parti pratiche.
Significava per lui raddoppiare i giorni di lezione, raddoppiando pure l’impegno. Già questo sarebbe sufficiente a tracciare la statura del personaggio…giacché oggi assistiamo in nome del dio denaro ad indecenti ammucchiate!
Samuele Valerio, un sorriso da bambino sotto due baffi da uomo, lasciati crescere per nascondere, senza tuttavia riuscirci completamente, quella protesi un po’ sgangherata di cui si intravedeva il metallo.
Segnato nel profondo da quella esperienza, vittima anche lui di una dentisteria da praticoni (pinze veloci li chiamava) e più simile alla macelleria messicana che a una disciplina della più nobile arte medica, ne aveva tratto una ragione di vita e una vocazione autentica ed inflessibile al servizio dei pazienti.
Spirito indomito, juventino sfegatato, la sigaretta sempre accesa e quell’inconfondibile andatura claudicante che tradiva il suo passato da calciatore, ti conquistava subito con la sua simpatia (gran barzellettiere), l’eleganza e la generosità.
Il suo carisma gli derivava soprattutto da quella sincera umiltà tipica di chi ha saputo costruirsi un’autorevolezza concreta e riconoscibile, perché fondata su solidissime radici di conoscenza e competenza e ispirata dal sensato convincimento che il traguardo è mobile e si rimane studenti per tutta la vita.
Non si risparmiava durante le giornate di corso…un mattatore infaticabile. Spesso si tirava tardi la sera e così, dopo una doccia velocissima, tornava a prenderci all’Hotel Ca’ Noa con la sua Audi RS4 familiare, grigia.
Al volante talvolta rivelava il suo trascorso da pilota (fortissimo rallysta), facendo ruggire il motore di quella specie di missile terra-aria.
Si vantava, sorridendo, che non ci fosse al mondo soddisfazione più grande che sorpassare un Porsche lanciato con una giardinetta.
La sua generosità era disarmante e non riguardava soltanto la didattica.
Era infatti frequente che offrisse la cena ai corsisti, che amava condurre a turno in due trattorie del centro: Al Frate (adorava la tartare e la tarte tatìn) e Da Porteri (salumi e carni eccellentissime) dove lui, raffinato buongustaio era accolto come uno di casa.
Così Alberto, nella sua lettera, riportava a galla nella luce di un “ricordo antico”, quella “frase mai dimenticata: Chi dice che dopo una cementazione non ha mai rialzi è un bugiardo… detta sorridendo e tipica di chi ha una grandissima esperienza e nessun timore dei supermen romani dell’epoca.”
Non ho potuto far altro che ringraziarlo di questo flashback.
Sentirlo ricordare Samuele mi aveva emozionato, come mi commuove sempre parlarne, perché per me è stato un esempio lucente di professionalità e umanità.
Era tutto vero: le sue battute erano micidiali…e ne svelavano subito quel temperamento un po’ guascone, con cui conquistava la platea già spiazzata dai casi maestosi e dalle foto straordinarie.
Anche questo mi ha trasmesso…in un momento in cui la fotografia odontoiatrica era una dimensione per pochi veri intenditori (si era fatto costruire una staffa da un fabbro su cui aveva posizionato due flash laterali…se non ricordo male erano Metz da 40 punti luce) e ancora in pellicola (usava addirittura i rullini da 64 ASA, conservati in frigorifero, dimostrandosi anche in questo campo vero professionista).
Sempre con la raccomandazione di non cedere alla tentazione dell’esibizionismo da varietà. Nella sua idea un po’ romantica della professione, infatti, la fotografia doveva restare il mezzo per documentare e non il fine!
Perché c’è la sua sostanziale differenza fra chi “lavora per fotografare e chi invece fotografa mentre lavora”. E si chiama onestà intellettuale.
Ma c’era di più!
Alberto mi confidava che quel “ricordo antico” di Samuele era stato scatenato in lui dal “sentirne parlare con stima e amore da un ragazzo ad una platea per la cui maggioranza era probabilmente uno sconosciuto” . E questo gli faceva un certo effetto, perché, proseguiva, “Samuele Valerio è un vino rosso da intenditori”.
Certo! Sono consapevole che purtroppo ormai pochi lo conosceranno, perché tempus fugit, il tempo passa e c’è una generazione che non avrà mai accesso a quella favola straordinaria. (E quindi non vedrà mai capolavori tecnici come i modelli argentati, i ponti sovragalvanizzati, le saldature secondarie, le preparazioni a pinledge, i Maryland bridge preparati col parallelometro endorale, e via dicendo.)
Ma a me sembra comunque giusto ringraziarlo e ricordarlo!
A me stesso soprattutto, ma anche agli altri che lo hanno conosciuto e anche a chi se lo è dimenticato.
Quella in fondo è stata una stagione dell’odontoiatria irripetibile, scolpita a sacrifici e precisione, ma è stata soprattutto una dimensione di verità! Ben lontana dall’attuale desolante e delirante vuoto narcisista a cui ahimè assistiamo ovunque.
Di Samuele ci sono infiniti aneddoti da raccontare.
Il controllo di placca non lo vendono neanche da Hermes, amava ripetere enfatizzando la contraddizione vissuta in una Brescia a quei tempi ricchissima, ma incolta e zozzona.
Signora prima arrivavano i suoi denti e poi lei…adesso arriva lei con i suoi denti, ricordava l’alterco bonario, ma risoluto con una paziente che aveva da obiettare sull’estetica finale (dimostrando che i disturbi di personalità non hanno latitudine).
L’intarsio in oro sul settimo superiore si vede solo a bocca aperta e a testa in giù…e a quel punto, signora, non si ferma più nessuno! Sdrammatizzava la sua proposta terapeutica preferita perché saggia: i restauri parziali in oro.
I provvisori sono come dei bambini, per sottolinearne insieme l’importanza e la delicatezza. Brillante ed efficace la sua tecnica di relining del bordo eseguita in composito sul modello master galvanizzato. Procedura che consente di ottenere provvisori stabili, con una superficie liscia al margine, un contorno e una precisione del tutto paragonabili al restauro definitivo. Una manna per la salute e la stabilità dei tessuti in area estetica.
La clinica deve continuare a comandare, altrimenti finiamo per fare i parrucchieri, borbottava contro la pressante ossessione per il bianco, intuendone il pericolo incombente. Lui che difendeva la dignità dell’arte medica, nella lucida convinzione che l’estetica senza etica si riducesse soltanto a cosmetica.
E ancora: il Bennet immediato è il flagello di Dio del protesista; le preparazioni con le gengive polentizzate, cioè massacrate dalla fresa che sta sempre sul fondo come il mestolo nella padella; il perno migliore è quello che non c’è; con la diga un settimo diventa un quinto! Lui che era un “dighista” convinto e irremovibile.
E poi: in odontoiatria non esiste la restitutio ad integrum per ammonirti di tenere a bada la turbina e quel nel tuo mazzo di carte devi avere tutti i jolly: se hai tutti i jolly la partita la vinci sempre, per indicare che occorre evitare scorciatoie e/o soluzioni di comodo, ma è nostro dovere impegnarci ad acquisire tutte le competenze necessarie per il bene del paziente.
E infine la sua preferita: i conti si fanno sotto al lampione, ovvero dove c’è più luce, per dire che la lentezza è una dote capace di portare anche giustizia. Basta solo saper aspettare.
Lui che ti obbligava a cimentarti con l’arte materica di cui è fatto il laboratorio. In silenzio, seduto al banco a colare il gesso, modellare la cera, zeppare la resina, fondere l’oro, stratificare la ceramica, perché tu imparassi, sulla pelle viva e nella misura della tua inettitudine, il rispetto per la dignità dell’odontotecnico.
Già, il laboratorio! Uno spazio a cui Lui attribuiva un potenziale formativo eccezionale e propedeutico alla frequentazione di qualunque tipo di corso di perfezionamento: “se vuoi imparare la protesi, vai in laboratorio!”, sottolineava spesso.
Un rapporto, quello con l’odontotecnico, che aveva contribuito a riabilitare e addirittura nobilitare, traghettandolo dal perimetro di una sterile gerarchia lavorativa, scandita dalla fredda matematica degli spazi e dall’isteria ingorda delle scadenze, alla sfera delle relazioni umane.
Lui e Oliviero, un binomio presto diventato per tanti manifesto cristallino di una leale sinergia professionale, perché arricchita dalle mutue competenze, rispettosa delle reciproche esigenze e votata all’unica deontologia praticabile: il servizio al paziente di smaltata eccellenza.
Rileggendo quel periodo con gli occhi di oggi si percepisce netta la sensazione della grandezza dell’uomo e la dimensione visionaria del professionista.
Lui che ancora addestrava i suoi allievi alle preparazioni parziali per restauri fusi: la mitica 3/4 sul canino e la 7/8 sul molare i suoi cavalli di battaglia.
A ognuno consegnava un modello in gesso giallo con tutti i denti preparati contemplando i differenti design, con la premurosa raccomandazione di custodirlo sul comodino come una reliquia.
Ventotto preziosissimi gioielli, incastonati in un purissimo virtuosismo di tecnica, che ti avrebbero continuamente ricordato l’ennesimo suo pregevole insegnamento. Forse il più ambizioso.
Quello di puntare in alto, di sognare in grande… sempre! Perché, come amava ripetere, a spararti sui piedi farai comunque a tempo! Un amorevole incoraggiamento ad incamminarti lungo il ripido sentiero della professione senza la paura di sbagliare, perché occorre un rapporto sano con l’errore: “sbaglia il più in fretta che puoi, perché è sbagliando che si impara il mestiere”.
Un amore, quello per l’oro, mai sopito. Era la sua firma, distintiva e inconfondibile, anche su trattamenti ad elevatissimo valore estetico e che gli è valsa l’ingiusta condanna dei soliti tromboni: superato, antiquato… ovvio! Come se la medicina avesse a che fare con la moda!
Magari proprio gli stessi che ai tempi per sostituire un incisivo centrale ne facevano sei (da canino a canino per stare dalla parte dei bottoni), lui che invece di estetica (che traduceva come perfetta integrazione dell’artificiale nel naturale) poteva insegnare a tutti quanti nel mondo se solo avesse saputo parlare l’inglese.
Lui che mostrava soluzioni multidisciplinari innovative, geniali e meravigliose. Lui che se c’era da fare un incisivo centrale si faceva il centrale costi quello che costi!
Ah…erano le stesse teste di cazzo che commentavano: ah facile per te che c’hai lui, riferendosi al Turilazzi (gigante anche quello) e svilendo la questione prima di tutto morale ad una faccenda di talento, come se a loro non costasse fatica, impegno, sudore!
Ma chi non ha vissuto quella stagione non potrà mai capire la portata rivoluzionaria di quel Vangelo, che aveva nell’etica la sua esegesi:
“Tante volte sento parlare di successo. Molti lo confondono con il denaro, con il possesso delle cose o con il consenso dei pazienti. Io ho percorso un’altra strada, fondata sull’etica della mia coscienza e della mia conoscenza. Un successo ed una soddisfazione diversi … più intimi, più veri.”
E chi l’ha vissuta ha preferito in molti casi dimenticarla, perché è certo più facile e fruttuoso inseguire la vanità di un’odontoiatria da avanspettacolo, svuotata di contenuti e terribilmente autoreferenziale. Quindi riciclarsi come moderno profeta dell’immanente stocazzo.
Un’odontoiatria à la carte, cosiddetta smart, dove l’importante è vendere l’illusione che tutto sia facile, veloce, protocollabile…e profittabile! E soprattutto dove non esiste l’insuccesso! Si certo, come no!?
È in questo deserto che Samuele giganteggia ancora in scioltezza… come un esempio, come un maestro.
È uscito di scena alla sua maniera, con la chiesa gremita ed il sagrato affollato di allievi spaesati e sgomenti. Realizzammo allora che si era spenta per sempre quella limpidissima cometa e che saremmo stati tutti più poveri e tutti più soli.
Grazie Alberto per avermi dato l’opportunità di celebrarlo.
Magari ci incontreremo un giorno da qualche parte e ne parleremo… e lo ricorderemo insieme, davanti a un bel bicchiere di vino rosso da intenditori.
* webinar del 28/04/2020 registrato tramite Dental Trey è consultabile a questo link:
Grande Dottor Samuele Valerio !!!
Grande Sig Oliviero Turillazzi !!!
ricordo la sera dove si è scattata quella magica foto, mi assale un ricordo, alle volte una nostalgia, sempre gratitudine di aver fatto vedere che era possibile
Uomo straordinario. Amico vero. Maestro insuperabile.
Le nuove generazioni che non l’hanno conosciuto hanno subito una perdita incommensurabile. Sta a noi che l’abbiamo vissuto mantener fede ai valori con cui ci ha cresciuto ed essere di esempio a chi sará dopo di noi.
Credo che solo chi ha avuto la fortuna di respirare l’aria
di via Oberdan possa capire veramente!grazie infinite Sam
Pingback: Perché fotografare? – abbway
Unico inimitabile 1996 avevo 22 anni ho la sua foto davanti a me ogni giorno che entrò in laboratorio lo guardò e dico ,oggi dobbiamo fare qualcosa di fatto bene e inizio la mia giornata grazie e ancora grazie